L’incontro incredibile fatto da alcuni ricercatori a largo del Golfo del Messico nelle profondità dell’Oceano Atlantico: è stato avvistato un “calamaro alieno”.
Il pianeta Terra ospita un numero gigantesco di forme di vita diverse. Di tutte queste, l’80% si trova negli oceani: pesci, crostacei, cefalopodi, mammiferi e molto altro vivono e si evolvono nei nostri mari. Ma nonostante la nostra conoscenza su questo aspetto è molto avanzata, ci sono alcuni luoghi a noi ancora perlopiù sconosciuti: gli abissi oceanici.
Gli abissi sono un luogo per noi uomini pressoché inaccessibile, e questo aumenta la difficoltà di studio di questo ambiente. Quello che sappiamo è che non sono un luogo inabitato, anzi la vita brulica all’interno ma non conosciamo tutto…
Gli abissi sono caratterizzati dalla quasi totalità di assenza di luce, perchè i raggi solari non riescono ad arrivare a quelle profondità, e dalla pressione enorme esercitata dall’acqua, che rendono questo ambiente ostile alla vita per come siamo abituati in superficie.
La vita perciò si è sviluppata in modo da poter sopravvivere a questo ambiente “extraterrestre”, se messo in comparazione con quello a cui siamo abituati a vedere noi. Gli scienziati sono anni che studiano questo ambiente e, quando ci riescono, anche la vita che si trova al suo interno.
Nell’immaginario collettivo abbiamo presente alcuni di questi pesci che vivono nelle profondità più remote degli oceani: film d’animazione come “Alla ricerca di Nemo” ne hanno raffigurati alcuni esemplari conosciuti ai più come le Rane Pescatrici.
Le Rane Pescatrici sono fra gli esseri viventi più conosciuti che abitano le profondità marine, tanto che sono molto comuni nei ristoranti di pesce, soprattutto italiani, dove è considerato un piatto prelibato. La loro caratteristica è quella “esca” luminosa che utilizza per attirare pesci, molluschi e altro incuriositi dalla luce in quell’ambiente oscuro.
Ma le forme di vita presenti nelle profondità marine sono innumerevoli. Famoso è anche il cosiddetto Pesce Blob, che in superficie presenta questa consistenza gelatinosa dovuta alla depressurizzazione che lo deforma dato che è privo di strutture di sostegno, modificando così il suo aspetto originale che è possibile osservare in livelli di pressione estremi.
Gli scienziati studiano questo ambiente da anni e sanno che ancora molto deve essere scoperto. Il loro lavoro si concentra principalmente sulla ricerca di nuove specie che abitano le profondità degli abissi per comprendere come l’evoluzione abbia potuto far sviluppare gli esseri viventi per potersi adattare a quelle condizioni ambientali.
Le spedizioni negli abissi oceanici sono molto difficili da fare e spesso non sempre sono fruttuose, visto che le porzioni da osservare sono immense. Ma, nonostante ciò, gli scienziati non si demoralizzano mai e quando riescono ad osservare una nuova specie è come se fossero atterrati sulla Luna.
Come nel caso dei ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration che, durante una loro spedizione, sono riusciti a scovare un nuovo esemplare di cefalopode che si è adattato alle profondità oceaniche nelle acque del Golfo del Messico.
Questo esemplare molto elusivo è stato rinvenuto mentre fluttuava nelle acque, grazie ai suoi lunghissimi tentacoli, alle braccia e alle grandi pinne. Questa sua ultima caratteristica ha dato il nome a questo animale che, nella comunità scientifica, viene chiamato Calamaro dalle pinne grandi.
Questo esemplare di cefalopode, appartenente alla famiglia dei Magnapinnidi, vive in acque molto profonde e osservarlo risulta molto difficile. Si stima infatti che i ritrovamenti di questa specie ad oggi siano stati meno di 20 in totale, uno di questi è proprio quello dei ricercatori del NOAA.
Il team scientifico del NOAA stava effettuando una spedizione oceanografica nell’Atlantico, quando la loro attenzione è stata attirata da una luce bluastra che brillava nell’oscurità degli abissi. Quando i ricercatori hanno osservato meglio hanno avvistato la presenza di una creatura aliena…
L’iridescenza bluastra che ha attirato gli scienziati proveniva proprio dai lunghissimi tentacoli di questa creatura che, ad un'osservazione più accurata, presentava altre caratteristiche anatomiche che facevano pensare che potesse essere di provenienza sconosciuta e aliena.
Questo esemplare è stato immortalato in un video coordinato da terra dallo zoologo del NOAA, Mike Vecchione, che, insieme a Richard E.Young, fu il primo a descrivere la famiglia di questi calamari dalle grandi pinne, alla fine degli anni 90. In seguito a quella scoperta furono ritrovate diverse specie di quella famiglia e si stima che ancora molte altre dovranno essere scoperte.
Nella registrazione video, Vecchione afferma la difficoltà di distinguere le braccia dai tentacoli della creatura, strutture che, invece, risultano ben identificabili nei calamari. Inoltre, un'altra caratteristica peculiare della specie è la disposizione e l’ancoraggio delle appendici che, distanziate dalla struttura principale, formano una sorta di gomito.
Inoltre questi esemplari presentano delle caratteristiche anatomiche che sembrano provenire da un mondo sconosciuto. Tra queste, infatti, le più accentuate, oltre alle lunghissime braccia della creatura, sono le sue enormi pinne, che si estroflettono dalla porzione cefalica, denominata mantello.
L’avvistamento è avvenuto ad una profondità di circa 2.300 metri sotto il livello del mare, ma secondo gli scienziati questi esemplari si possono trovare anche in acque più profonde. Alcuni esemplari sono stati scovati anche a 4.700 metri di profondità, in condizioni ancora più estreme.
Resta comunque molto difficile riuscire a scovare uno di questi “calamari alieni”, data la loro natura sfuggente tipica dei cefalopodi. I loro movimenti repentini, dovuti all’aerodinamicità morfo-funzionale, uniti al fatto che abiti in zone della Terra anguste, rendono difficile la sua rilevazione per l’uomo.
Per questo motivo gli scienziati hanno difficoltà a dare una stima dei membri di questa famiglia, anche se gli studi portano a pensare che possano essere diverse le specie appartenenti a questa affascinante famiglia di cefalopodi nelle profondità degli oceani.
Questa è la dimostrazione che la vita si può sviluppare anche negli ambienti più angusti del mondo in maniera a noi pressoché sconosciuta. Per questo motivo lo studio di questi esemplari “alieni” da parte degli scienziati è necessario, perchè la domanda che si pongono è questa: se c’è vita in ambienti estremi, è possibile trovare forme veramente aliene su altri pianeti?
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